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Bhutan: quando pensare spesso alla morte rende felici
Il Bhutan, è un piccolo Stato dell’Himalaya che confina con Tibet e India. Ha circa 800 mila abitanti ed è uno dei paesi più poveri del mondo.
Tuttavia si trova all’ottavo posto al mondo, per il livello di felicità dei suoi abitanti ed al primo, in Asia.
Ma com’è possibile che un paese così povero sia così felice?

paesaggio bhutanese
Il Bhutan e la felicità interna lorda (FIL)
Uno dei principi fondamentali di questo piccolo paese,è il concetto di FIL, ovvero di felicità interna lorda.
Questa percezione della felicità (che non tiene conto dell’aspetto economico), è il risultato di qualità dell’aria, salute generale dei cittadini, livello di istruzione e rapporti sociali.



bambini in Bhutan
Recentemente, leggendo uno dei libri dell’autrice Linda Leaming che parla della sua esperienza in Bhutan, ho scoperto un particolare approccio ad una delle tematiche più scomode ed evitate in Occidente: il tema della morte.
L’interessante prospettiva raccolta nell’esperienza in Bhutan dell’autrice, racconta come il diverso approccio al tema della tristezza e della morte da parte dei bhutanesi, li renda di fatto uno dei popoli più felici al mondo.



statua di Buddha in Bhutan
I bhutanesi riconoscono i pensieri negativi ma non cercano di rimuoverli
L’autrice racconta che, come tutti gli esseri umani, i bhutanesi conoscono il malessere ed i sentimenti negativi.
Tuttavia, non cercano di fuggire da questi, né provano a rimuoverli.
Anche i pensieri tristi e la negatività, infatti, fanno parte della vita e semplicemente i bhutanesi accettano il fluire degli eventi.
Questo processo di accettazione, è sostanzialmente uno dei motivi principali della loro felicità rispetto ad altri paesi.



Il tabù della morte non esiste in Bhutan
Un’altra particolarità della cultura bhutanese, è che il tabù della morte è inesistente.
Bambini e adulti sono costantemente immersi in un tessuto sociale in cui sia le danze rituali che rievocano la morte, sia l’esposizione diffusa a questa tematica tramite l’iconografia buddista, sono la norma.
A differenza di molti di noi in Occidente, i bhutanesi non rimuovono l’idea della morte.
In Bhutan il lutto dura 49 giorni
Quando un bhutanese muore, è previsto un periodo di 49 giorni, in cui i familiari si trovano ad elaborare il lutto, attraverso una serie di rituali ben precisi.
E’ probabile che la percezione “serena” della morte da parte del popolo bhutanese, derivi dalla loro radicata fede buddista, in particolare l’aspetto della reincarnazione.
Spogliarsi dell’attuale vita quindi, non dovrebbe causare disagio, nella considerazione del realizzarsi di una successiva condizione di esistenza.
Tra l’altro, in un territorio poco ospitale e denso di rischi come il Bhutan, incontrare la morte è tutt’altro che difficile.
Animali feroci, strade pericolose, clima gelido, venti impetuosi, sono solo alcuni degli eventi in cui si può perdere la vita.



I bhutanesi pensano alla morte 5 volte al giorno
Normalmente, il pensiero della morte è comune in Bhutan.
Pare che in media si pensi a questo evento, circa 5 volte al giorno.
Anche se pare strano, familiarizzare e attraversare il pensiero della morte quotidianamente, potrebbe essere il segreto di questo popolo felice.
Ma come mai succede? Perché pensare alla morte farebbe vivere meglio?



Includere nella vita di tutti i giorni il pensiero della morte può favorire una vita più appagante
Avere in mente, l’esistenza della morte può dare un contributo positivo alle nostre vite ed alle decisioni che prendiamo.
Se ci pensate, il comportamento e l’atteggiamento di chi sa di aver poco tempo da vivere, è differente dalle modalità di vita di chi pensa di avere tanto tempo a disposizione.


In Occidente molte persone rimuovono l’idea della morte e si comportano come se fossero immortali.
La Tanatofobia (ovvero la paura della morte che raggiunge livelli di morbosità) è abbastanza diffusa in Occidente.
Durante l’adolescenza, molti ragazzi sono attratti – e al contempo impauriti dalla morte – generando qualche volta pensieri suicidi e autolesionistici.
Questa condizione si affievolisce nella giovinezza.
La paura della morte tende a ricomparire solitamente attorno ai quarant’anni, in una condizione di maggior maturità.
La tanatofobia non è da confondere con la necrofobia che riguarda il terrore di fronte a cadaveri di persone o animali, nonché degli oggetti e luoghi legati alla morte (come bare e cimiteri).
Nella nostra società, tante persone si comportano come fossero immortali, rimuovendo il concetto di morte dalle loro esistenze.
Spesso questo “far finta di nulla”, che potrebbe in apparenza essere la scelta migliore, porta a una distribuzione delle proprie risorse e delle proprie energie assolutamente insensata.
Ad esempio, perdendo tempo, in relazioni malsane o poco soddisfacenti, lavori frustranti e rinviando sempre, ad un ipotetico futuro prossimo, le esperienze e gli obiettivi da raggiungere.
Anche la vecchiaia, la paura e l’assenza di controllo sulla propria vita generano ansia ed emozioni negative.
Tuttavia, escludere l’idea della morte ed i sentimenti negativi come parte della vita, condannano a essere sereni solo superficialmente.



Pensare alla morte, attiva un processo automatico verso pensieri felici
Alcune ricerche recenti di psicologia suggeriscono che “la morte è un fatto psicologicamente minaccioso, ma quando le persone lo contemplano, apparentemente un sistema automatico inizia a cercare pensieri felici”.
Insomma, ignorare che la morte faccia parte della vita per paura, ha un enorme costo psicologico, anche se non ci si rende conto di questo.
Lo sanno i bhutanesi e lo sa Linda Leaming, autrice dello stimolante testo che vi indichiamo fra le fonti.
L’autrice ha infatti compreso che pensare alla morte non è deprimente, bensì utile per cogliere le occasioni e vedere la vita in una prospettiva differente.
D’altronde, per superare e affrontare le paure, occorre attraversarle dall’inizio alla fine.



Non scappate dai pensieri tristi e dall’idea della morte ma affrontateli
Non fuggite quindi dalle vostre emozioni negative e dalle vostre paure, perché vi rincorreranno e sprecherete tante energie, fingendo che non esistano.
La cultura occidentale, spesso incoraggia a fuggire dalla tristezza e dalla paura.
Anzi, molte persone non parlano nemmeno di questi pensieri legati alla morte, per paura di essere giudicati come depressi o strani.
Ma pensare al tema della morte, non significa voler morire, bensì temere la fine, il non lasciare nulla in questo mondo.
E questo è un ottimo spunto per costruire dei progetti e pensare a obiettivi da raggiungere che possano rendere il vostro percorso di vita migliore. Quindi, se siete arrivati a leggere fino a qui, provate a pensare a ciò che vorreste davvero realizzare e a ciò che vi rende felici. A che punto siete della vostra vita? Cosa vorreste di diverso? Lasciate andare eventi, persone e situazioni negative, non abbiate paura di cambiare. Rischiate!
Anche i bhutanesi provano paura e tristezza, ma non scappano da esse.
E forse, accettare queste emozioni e questa condizione, è davvero l’unico modo per essere felici durante la nostra vita.
Marzia Parmigiani
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