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Luoghi e nonluoghi.
Luoghi e nonluoghi
Cos’è un luogo?
E cos’è quel “nonluogo” di cui a volte si sente parlare?
Noi di Traveltherapists in questo articolo vi illustriamo nel dettaglio questi concetti e come si relazionano all’identità dei viaggiatori ed all’immaginario di ognuno di noi.
Scopriamo assieme le caratteristiche di luoghi e nonluoghi.
Luoghi e “nonluoghi” Marc Augé
In passato parlare del concetto di luogo, non implicava la necessità di definire anche il suo contrario, anche perché questo difficilmente poteva esser concepito.
Oggi però dobbiamo considerare che la surmodernità sta avendo come effetto anche la produzione di spazi particolari che non vengono integrati, contrariamente alla modernità intesa in senso baudelairiano, nella definizione dei luoghi antichi.


Le connotazioni dei luoghi
I luoghi di solito hanno tre connotazioni: identitaria, relazionale e storica.
Il modo di costruire le case, le regole di residenza, i quartieri dei paesi o delle città, gli spazi pubblici e la divisione del territorio corrispondono a un insieme di possibilità, ma anche di prescrizioni e interdizioni la cui essenza è al contempo spaziale e sociale.
Nascere in un determinato luogo è costitutivo dell’identità di ciascuno e ci pone in relazione reciproca con altri, coi quali condividiamo un’identità comune.
Le regole di residenza assegnano un particolare posto ad ognuno, situandolo in una precisa configurazione d’insieme. In questa, le persone condividono con la comunità una “iscrizione” sul suolo.
Infine, coniugando identità e relazione, il luogo diventa anche storico, definendosi grazie ad una base di stabilità nel tempo.


La definizione di Marc Augé
Se un luogo viene definito come dotato delle connotazioni identitarie, relazionali e storiche, ne deriva che un nonluogo sia uno spazio che non possiede neanche una delle caratteristiche sopraindicate.
Marc Augé lo definisce nel 1992 così:
“Il nonluogo è il contrario del luogo, uno spazio in cui colui che lo attraversa non può leggere nulla né della sua identità, né dei sui rapporti con gli altri o, più in generale, dei rapporti fra gli uni e gli altri, né a fortiori della loro storia comune.”
Da questa definizione il nonluogo quindi appare come il contrario del paesino con il campanile ed il municipio nel centro storico.
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L’aeroporto come nonluogo di transito
I nonluoghi per favorire la circolazione ed il consumo
Ovviamente il nonluogo è prima di tutto una questione di sguardo: si possono immaginare spazi di calda intimità anche all’aeroporto o all’interno di un parco divertimenti.
Il nonluogo spesso è lo spettacolo quotidiano del paesaggio della periferia urbana moderna. I “casermoni” popolari, i centri commerciali, le tangenziali e i quartieri industriali a squalificare gli spazi ed a condannarci alla solitudine.
L’impossibilità di riconoscervi connotazioni precise ne impedisce la “lettura” e la caratterizzazione.
Secondo Augé, il mondo della globalizzazione tecnologica ed economica è una realtà in cui l’importanza maggiore è data al passaggio ed alla circolazione di persone ed al consumo.
I nonluoghi sono tali, perché non hanno vocazione territoriale.
Non nascono per creare un’identità o un patrimonio comune, ma semplicemente facilitare la circolazione e i consumi.
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Il centro commerciale Insadong Ssamziegil fonte: sito ufficiale
I nonluoghi per sentirsi “a casa”
E’ importante sottolineare che tali luoghi spesso si presentano spesso troppo pieni, ridondanti di luci e di stimoli, in un enorme gioco di specchi che ne esaltano il riflesso.
A volte, invece, in certi orari o periodi dell’anno, ci appaiono come troppo vuoti.
Un esempio? Pensate a ciò che succede negli aeroporti, nelle stazioni o nei centro commerciali al di fuori dell’orario di punta.
Quante volte in viaggio, vi è capitato di “rifugiarvi” in questi spazi somiglianti a déjà- vu?
Uno dei modi migliori per provare meno senso di spaesamento, mentre ci si trova all’estero, è proprio entrare in un centro commerciale.
Infatti somiglia a qualcosa che frequentiamo abitualmente nel nostro territorio.
Qui ritroviamo, fra gli altri, gli stessi brand, le catene di negozi, che abbiamo a casa nostra.
I nonluoghi e le sue immagini sono densi d’umanità perché vengono prodotti e vissuti dall’uomo, ma al loro interno ci si può sentire isolati, perduti o esaltati in via provvisoria.
Qui riconosciamo i segni del consumo di tutti i giorni, apparendo familiari e densi per un verso, vuoti e squallidi, per un altro.
Si possono considerare spazi mai declinati al passato o al futuro e facendo un parallelo letterario, paragonarli agli scenari minimalisti di alcuni scrittori, esistenti solo in virtù dello sguardo del protagonista.
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Un enorme centro commerciale a Tokyo
Ripopolare gli spazi della solitudine
C’è da dire che sia il luogo che il nonluogo non esistono in forma pura.
Infatti, anche nel nonluogo, dei luoghi si ricompongono, delle relazioni si creano, nel gioco misto dell’identità e della relazione.
Luogo e nonluogo appaiono come polarità sfuggenti, per cui il primo non viene mai cancellato totalmente ed il secondo, mai compiuto del tutto.
Questi due termini, però non devono esser messi in contrapposizione.
Infatti, contrapporre lo spazio simbolizzato del luogo allo spazio non simbolizzato del nonluogo, porterebbe ad una definizione negativa di nonluogo.
Quest’ultimo appare come il contrario di una dimora, ovvero, di ciò che è un luogo per il senso comune.
Le cose sono ben più complesse di così, in quanto come abbiamo già ricordato, non esistono tipologie pure: luogo e nonluogo, si compenetrano in continuazione.


I nonluoghi ed i viaggiatori
A questo punto diventa utile considerare il concetto di nonluogo nella sua relazione con il viaggiatore.
Il passaggio in diversi luoghi tipico del turista, forma l’”orizzonte di viaggio”.
Il suo movimento intesse trame, sposta linee ed è creatore di zone di “passaggio”, di nonluoghi.
Da questo punto di vista, lo spazio del viaggiatore può esser considerato l’archetipo del nonluogo.
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Elina e Marzia a Tsutenkaku, Osaka nei pressi della Hitachi Tower
I nonluoghi e le parole
In più, i nonluoghi reali della surmodernità, quelli che frequentiamo quando viaggiamo, hanno la particolarità di definirsi anche attraverso i testi e le parole che propongono.
Di fatto nei cosiddetti nonluoghi, spesso non interagiamo con persone reali, ma con segnali recanti:
A volte ricorrono a ideogrammi più o meno espliciti e codificati, spesso in una lingua naturale ed intuitiva.
Ad esempio il passaggio autostradale, prende distanze da dettagli architettonici e il viaggiatore comprende solo dal cartello, di trovarsi vicino ad un punto importante che però non potrà vedere.
Il percorso autostradale, quindi da un lato evita per necessità tutti i luoghi di grande interesse in cui ci s’avvicina, ma li commenta e li rende attraenti.
Allo stesso modo oggi anche le nostre strade provinciali sono condannate ad esser circonvallazioni d’agglomerati che non permettono al viaggiatore di passaggio d’entrare nel centro e vedere coi propri occhi.
Sono i cartelloni a permettergli di immaginare cosa si perde a non fermarsi.
L’identità nei nonluoghi
Nel nonluogo l’individuo è in rapporto contrattuale. Tale contratto gli verrà ricordato al momento opportuno (le modalità d’uso di quello spazio, l’esibizione del biglietto d’ingresso).
Dopo aver verificato l’identità dell’individuo, questo ritorna ad essere anonimo.
Un esempio?
Pensate a ciò che capita in aeroporto dopo la presentazione dei documenti e della carta d’imbarco, dopo cioè, aver controfirmato il contratto.
Il passeggero dei nonluoghi ritrova la sua identità alla dogana, alla cassa, al casello autostradale.
Lo spazio di queste aree non crea identità singola, neppure relazione: soltanto solitudine e somiglianza.
I nonluoghi si percorrono e si misurano in unità di tempo, in quanto gli itinerari sembrano non esistere senza gli orari.
Nella concretezza dell’epoca attuale, luoghi e non luoghi s’incastrano e si compenetrano.
La possibilità del nonluogo esiste in qualsiasi luogo. Il ritorno al luogo, è il rimedio cui ricorre l’habitué di nonluoghi.
I nonluoghi sono sia gli aeroporti, le autostrade e le stazioni, ma anche i supermercati, le grandi catene alberghiere e i campi profughi dove sono posti a tempo indeterminato i rifugiati.
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Marzia con il peluche di “Aggretsuko” a Tokyo
Nonluoghi “rifugio” e nonluoghi “immagine”
Spesso noi siamo convinti di sapere qualcosa del mondo degli altri, ma tale conoscenza può esser compiuta solo tramite grandi astrazioni.
Qualche esempio?
La povertà, la miseria, il Terzo Mondo, la schiavitù della donna in alcune culture, solo per citarne alcune. Semplificando, si potrebbe sostenere che il mondo attuale sia suddiviso in due tipologie di spazio:
Con il termine nonluogo indichiamo esperienze complementari, ma distinte: da un lato quegli spazi costituiti per il trasporto, il transito il commercio e il tempo libero.
Dall’altro, il rapporto che le persone hanno con questi spazi.
Se in parte i due rapporti si sovrappongono, dall’altro non si confondono perché i nonluoghi creano una contrattualità solitaria, mentre il luogo antropologico crea un sociale organico.
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donne peruviane
I luoghi e le parole che evocano
Certi luoghi esistono solo attraverso le parole che evocano: in questo senso, sono solo stereotipi, luoghi immaginari.
Qui la parola crea l’immagine, produce il mito e contemporaneamente lo fa funzionare.
Non bisogna però dimenticare che esistono racconti che percorrono e ordinano i luoghi, ed al contempo, occorre considerare che affinché un racconto venga scritto, sia necessario che attraversi determinati luoghi.
E tale pluralità di luoghi, riscontrabile anche nel viaggio, crea un eccesso allo sguardo, un effetto di spaesamento che inserisce fra il turista e lo spazio del paesaggio una sorta di frattura creatrice dell’impossibilità di vedervi un luogo.
Anche se si prova a colmare tale lacuna con le informazioni acquisite in precedenza tramite il web, le guide ed racconti di viaggio.
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Traveltherapists al Camden Market
“Sans papiers” e “nonluoghi”
Dopo aver parlato dei nonluoghi, diventa pregnante e soprattutto molto attuale, parlare dei profughi.
Si tratta dei “sans papiers”, senza appunto quel foglio che testimoni un’appartenenza.
Viene loro negato di poter vivere in un territorio sotto un governo sovrano.
Così vivono lo stigma di esser relegati in campi.
Viene loro riservato uno spazio per lasciare lo spazio alle persone normali, che paiono in tal modo aver più diritto di muoversi liberamente.
Città: tra immaginario e finzione
Le città hanno un grande legame con i romanzi. La scena delle maggiori opere è infatti la metropoli, almeno se consideriamo i principali autori del XIX e XX secolo.
L’ovvietà di tale pensiero, appare meno scontata se si riflette su due ottiche per così dire incrociate: quella dello scrittore che ha citato una certa città e che tramite questa rievocazione viene ricordato, e la città attraverso lo sguardo di questi autori. Con le loro trame ed i personaggi, hanno celebrato e immortalato quei luoghi.
Se tante città italiane danno a molti la sensazione d’avere qualcosa di stendhaliano, è vero anche che pronunciare il nome di alcuni autori immediatamente ci porta ad un’immagine precisa.
Si tratta di ricordi, a volte sfocati, altri, vividi, ma sempre e comunque peculiari della capacità di un autore di cogliere le prospettive, gli odori e le alchimie di un luogo.
Così tramite il romanzo abbiamo la possibilità d’incontro fra le parole della scrittura e gli spazi urbani.
Inoltre, il romanzo è sociale e per quanto sia soggettivo, il resto della società è sempre presente sullo sfondo. Ed è in questo ambiente collettivo che è possibile mettere in evidenza sia la minaccia che non si realizza mai pienamente, ovvero la solitudine, ma anche l’ideale che non giunge mai a reale compimento, ovvero la società stessa.
Speriamo che questo articolo vi abbia incuriosito e fatto scoprire nuove prospettive di osservazione dei luoghi ( o dei nonluoghi), mentre viaggiate.
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Marzia Parmigiani
Marzia Parmigiani
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