Pandemic fatigue: storia di angoscia e fatica psicologica di fronte all’incubo pandemia Coronavirus

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Pandemic fatigue: storia di angoscia e fatica psicologica di fronte all’incubo pandemia Coronavirus

Si chiama “Pandemic Fatigue”, e secondo l’Oms è la “Sensazione naturale di stanchezza e sfinimento dovuta a uno stato di crisi prolungato”.
Di cosa parliamo? Di quello che stiamo (e state) provando esattamente ora.

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A ottobre il Coronavirus è a tutti gli effetti un incubo diventato realtà

Da Washington a Londra, da Parigi a Roma, in tutto il mondo il Coronavirus sta tornando con nuovo vigore.
Per questo le autorità e i governi di tutto il mondo, stanno nuovamente aumentando le restrizioni. 
Nel momento in cui scriviamo (31 ottobre 2020), in Italia si parla della possibilità di “lockdown morbido” o di “chiusura a zone” relativa per ora a 5 regioni fra cui la Lombardia già martoriata.
Cosa è cambiato rispetto a febbraio 2020? Nulla, a parte che siamo tutti stanchi.

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Dopo mesi di lotta al Coronavirus bisogna lottare con il negazionismo e la recrudescenza dei contagi

Medici, infermieri di tutto il mondo sono spossati e demoralizzati dopo sette mesi di lotta al virus.
L’impatto sulla psiche e sul corpo è devastante.
E non devono fronteggiare “solo” il Covid-19, ma anche il menefreghismo ed il negazionismo di alcuni che non si curano di regole e divieti. Però poi se stanno male corrono all’ospedale intasando i Pronto Soccorso.
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L’angoscia di un nuovo lockdown fa rivivere il trauma di qualche mese fa

Questa recrudescenza dei contagi che, ora dopo ora, sta aumentando esponenzialmente, ci immerge in modo costante nel contesto pandemico.
Sia a livello cosciente che inconscio, da mesi oramai, respiriamo questo clima angosciante.
Anche se possiamo estraniarci, non leggere i giornali, il web o guardare le notizie alla tv, l’idea della pandemia  è sempre presente in noi e alimenta i nostri pensieri.
Cercare di proteggersi (staccandosi dalle notizie e da internet e pensare ad altro), quando l’angoscia sale a livelli alti, è salutare.

Infatti, quando l’angoscia raggiunge livelli estremi, entrano in gioco anche meccanismi difensivi che in alcuni casi possono portare alla negazione completa. Quest’ultima frase vi dice qualcosa?

Infatti a livello psicologico si può ipotizzare che i cosiddetti “negazionisti” in realtà sottendano più paura e depressione rispetto al resto della popolazione che si limita – tristemente- a prendere atto della situazione con consapevolezza.

Infatti, normalmente le persone hanno ansie e pensieri legati al Coronavirus che riguardano il lavoro, le finanze, la salute personale e dei propri cari, come è giusto che sia.

Avere paura durante la pandemia è sano

La paura è un’emozione primaria umana fondamentale che ha funzione di adattamento, ovvero ci preserva dai pericoli e ci fa adottare comportamenti di protezione. 
Tutti noi sappiamo che in questo momento le immagini delle città deserte, delle bare sui camion militari, delle file ai supermercati, del vedersi solo tramite uno schermo, creano un’angoscia profonda.
Tutti noi ne abbiamo ricordo e pensarci è rivivere un trauma con la paura che possa andare anche peggio di come è stato.
Ma avere paura, non significa restare immobili o piangersi addosso. E nemmeno sfogarsi a caso.
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La politicizzazione del Coronavirus

L’esaurimento psicologico ed economico collettivo è diventato un bell’avversario per i governi. La maggior parte dei politici non desidera fare scelte impopolari: in fondo, bisogna anche fare cose per farsi rieleggere.
Comunque, tutta la retorica iniziale, le analogie con la guerra di cui i leader mondiali  riempivano i loro discorsi per avere il plauso dei cittadini, è svanita.
Siamo senza parole e senza energie.
Mentre a marzo ci trovavamo verso l’estate, nella direzione della speranza che l’estate ed il clima ci aiutassero; ora stiamo andando verso l’inverno, il freddo, una crisi al quadrato, una stanchezza al cubo.
Ad un passo da un nuovo lockdown, c’è chi decide di andare al mare o in montagna, fare passeggiate, vedere i propri cari, (nel rispetto delle regole speriamo).
Si vive con l’immensa paura che tra poco tutta la nostra vita sarà declinata in uno schermo, quel black mirror degli smartphone che stanno diventando sempre più la nostra finestra sul mondo.
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La stanchezza generale legata alla pandemia fa abbassare la guardia alle persone

I governi contano sulla solidarietà e sulla cooperazione dei cittadini per rispettare restrizioni in grado di appiattire la curva dell’infezione.
Purtroppo come avverte l’OMS, la stanchezza generale legata alla pandemia, può alimentare un circolo vizioso.
Infatti, più le persone sono provate, più tendono ad abbassare la guardia, mettendo in atto, quindi comportamenti meno saggi e innescando più contagi e restrizioni.
Dopo la prolungata chiusura, i locali e le attività che avevano riaperto, devono nuovamente fare i conti con le restrizioni.
Dopo il ritorno in ufficio preceduto da mesi di smart working, ai lavoratori viene chiesto nuovamente di lavorare da casa, quando possibile.
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Il bisogno di una connessione sociale

I problemi iniziano quando le regole si scontrano con la necessità di una connessione sociale.
Purtroppo in Occidente, in particolare in alcuni paesi, anche la decisione di indossare mascherine sembra indebolirsi in alcuni contesti sociali. 
Un sondaggio del Regno Unito ha rilevato che il 98% delle persone ha riferito di aver indossato la mascherina per un periodo di 7 giorni terminato l’11 ottobre.
Ma la percentuale è scesa al 19% quando si trattava di attività sociali individuali.
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Un deserto Millenium Bridge a Londra

Secondo gli epidemiologi questo è un grandissimo problema con l’arrivo dell’inverno.
Infatti, più le persone socializzeranno al chiuso, dove il virus si diffonde in modo più vigoroso, più c’è il rischio di avere contagi fuori controllo.
Mentre la vita in Corea del Sud, Cina e Giappone è tornata pressoché alla normalità, gli Stati Uniti e l’Europa stanno vivendo un dramma.
Ma perché questi paesi riescono a fronteggiare così bene il Coronavirus rispetto a noi occidentali?
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Perché in Asia sono riusciti a contenere in modo più efficace la pandemia di Coronavirus?

Lo abbiamo ripetuto diverse volte in questi mesi.
L’esperienza del Giappone, ci ha cambiato letteralmente la vita ed essere lì durante la pandemia, ancora di più perché abbiamo visto con i nostri occhi come la affrontavano.
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Innanzitutto Cina, Giappone e Corea del Sud, hanno già avuto precedenti esperienze di virus particolarmente aggressivi: indossare la mascherina per loro è normale.
Normale indossarla anche per tutelare il prossimo da eventuale influenza e raffreddore.
Mi dispiace deludere coloro che hanno sempre pensato che in Asia indossassero la mascherina solo per l’inquinamento.
Forse in Cina o in Corea, anche, ma vi assicuro che in Giappone l’aria è più pulita che in Italia (detto da un soggetto allergico).
In questi paesi non temono di arrecare danno al proprio look, ma mettono le mascherine per evitare appunto situazioni come quella attuale.
A marzo 2020 a Tokyo, c’era comunque penuria di mascherine e tutti per conquistarne una confezione si mettevano in fila dalle 6 del mattino.
Inoltre, in questi paesi, sono stati implementati mezzi di tracciamento aggressivi dei casi di Coronavirus, scaricate praticamente da tutti.
In Italia abbiamo l’app Immuni, molto blanda che le persone non scaricano per paura che venga invasa la loro privacy.
Vi svelo che la vostra privacy è costantemente violata molto di più, dai vostri social e siti di shopping preferiti.

Coronavirus: dovremo conviverci almeno fino al 2021

Il modello asiatico ci svela che è possibile controllare il Covid-19 senza i lockdown

Mentre in Occidente, non c’è una quarantena forzata, nei paesi asiatici si fa in isolamento ed in determinate strutture.
Da noi, è “consigliato” isolarsi dai familiari (isolamento o quarantena fiduciaria).
Inoltre i paesi dell’area Schengen hanno da subito, in vista della stagione estiva, riaperto le reciproche frontiere anche se non tutti allo stesso tempo ed allo stesso modo.
In Asia, molti paesi sono tuttora sigillati e impongono quarantene (a spese dei viaggiatori) in strutture deputate e controllate dove si viene collocati subito dopo l’arrivo.
Questo è l’esempio della Corea del Sud, (dove il costo da sostenere è di circa 1000 euro) ed del Giappone (ovviamente bisogna essere fra quei paesi a basso rischio, per poter solo immaginare di andarci).
Solo dopo le due settimane in questi paesi, si può uscire liberamente.
Ma soprattutto, il Coronavirus in Asia non è politicizzato come in Europa e Stati Uniti.
Addirittura anche il tema dell’utilizzo o meno delle mascherine (mascherine sì o no?) è usato in campagna elettorale, come ha dimostrato Trump (che non la indossa), contro Biden.
Inoltre, in alcuni paesi come il Regno Unito ci sono state diverse manifestazioni contro le mascherine stesse.
Insomma, in questo quadro diventa facile capire perché da noi la situazione è così compromessa rispetto la loro.
Ma abbiamo bisogno di qualcosa per andare avanti.
Regole base per convivere con il Coronavirus

Marzia in Giappone – marzo 2020

Coltivare la resilienza ai tempi del Coronavirus

E allora, il nostro invito è quello di non perdersi d’animo e di cercare di progettare per quanto possibile il vostro futuro e coltivare la vostra resilienza.
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All’interno dell’eBook Coltivare la resilienza ai tempi del Coronavirus, troverete riflessioni, suggerimenti utili, per coltivare la propria resilienza personale, ovvero la caratteristica che meglio ci fa adattare ai cambiamenti della vita.
Avrete a disposizione una serie di suggerimenti sempre a portata di mano, utili per affrontare i momenti critici e le sfide quotidiane che ognuno di noi incontra nella vita.

firma marzia parmigiani
 
 
 
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