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Originariamente i colori in Giappone erano solo quattro.
Parliamo del rosso (aka, 明); del nero, (kuro, 暗); del bianco (shiro, 顕); e del blu (ao, 漠).
Lanterne rosse per le strade di Ginza, Tokyo
Storia e significato dei colori in Giappone: il colore rosso aka (赤) in giapponese
Il rosso in Giappone si contrappone al nero e la sua storia del rosso in Giappone risale a tempi antichi.
E’ il colore utilizzato per la bandiera. Infatti, il Sol Levante è rappresentato da un cerchio rosso sullo sfondo bianco.
Sappiamo che la concezione dei colori non è solo un fenomeno percettivo, ma anche culturale.
In Occidente, per esempio, il sole si dipinge in giallo o in arancio, mentre per i giapponesi è rosso.
Il rosso in Giappone è un colore di buon auspicio, di fortuna e di felicità.
Pensiamo ai torii o alle bambole daruma.
Si ritiene inoltre che il rosso aumenti il potere dei kami (gli spiriti adorati nella religione shintoista).
Ogni santuario giapponese, usa un rosso leggermente diverso, ma la tonalità di rosso akani protegge dalla ruggine e per questo è spesso utilizzato.
Contiene infatti del mercurio cinabro ed è inteso come protezione dal male.
I famosi torii del Santuario Fushimi Inari a Kyoto sono dipinte in akani.
Nel periodo delle guerre civili giapponesi (1467-1568), il rosso era amato dai samurai. Lo indossavano come simbolo di forza e potere.
Il rosso era anche usato come trucco in Giappone, molto prima che il rossetto diventasse popolare.
Le donne nobili proteggevano la loro bellezza, usando il cartamo come base per i loro rossetti.
Si tratta di un fiore ancora oggi raccolto per creare i rossetto tradizionali.
Il famoso complesso del tempio buddista Senso-ji di Asakusa, ha il rosso come colore predominante.
Per i giapponesi, corrisponde ad una sfumatura del rosso: il colore che vedete in questo video si chiama shu (しゅ).
La tonalità giapponese di rosso detta “shu” (vermiglio) è talvolta descritto semplicemente come “rosso”.
In Giappone, come in altre parti dell’Asia orientale, questo colore è profondamente radicato nella cultura ed è considerato di buon auspicio!
Come abbiamo detto, il rosso è il colore dei cancelli torii nei santuari Shintō, dei timbri di inchiostro shuniku abbinati a sigilli personali.
Storia e significato dei colori in Giappone: il verde ed il blu in Giappone (青)
Forse alcuni di voi sanno che i giapponesi chiamano i loro semafori verdi “luci blu”.
Il blu, la parola ao (青), per molto tempo, è stata usata per indicare sia il blu che il verde.
Culturalmente erano considerati uguali.
Successivamente è stata introdotta la parola midori (緑) per descrivere il verde.
Tuttavia, l’uso di ao per indicare il colore verde si riflette ancora oggi nella lingua giapponese.
Parole come aoba (foglie verdi) o aoume (prugne verdi), sono eloquenti.
Ecco perché i giapponesi chiamano ao shingo i semafori versi.
Come spesso capita, il verde, anche nella cultura giapponese si associa a natura e calma.
Per esempio, la tonalità matcha iro descrive il colore del tè verde matcha.
Fra il XIII e il XV secolo, la nobiltà giapponese ha reso popolare la cerimonia del tè, diventata diffusa anche fra i samurai.
La cerimonia del tè ha creato una propria estetica, con ceramiche dedicate per ammirare ancora di più il colore del tè verde matcha.
Storia e significato dei colori in Giappone: il viola murasaki (紫) in Giappone
Il viola a lungo è stato il colore della classe dirigenziale in Giappone e per questo, alla gente comune era proibito indossare abiti viola.
Il colore viola era molto costoso perché doveva essere estratto dalla shigusa, davvero difficile da coltivare.
Per questo, era un colore raro, e crearlo richiedeva tempo.
Nel periodo Nara, ovvero 1400 anni fa, solo i funzionari di alto livello e la Famiglia Imperiale potevano indossare abiti viola.
Solo quando il buddismo arrivò in Giappone, anche i monaci con alto livello di virtù potevano indossare il viola.
Durante il periodo Edo (1603-1868), la famiglia regnante Tokugawa, aveva nel suo emblema il fiore della malva.
Per questo, il viola resta associato tradizionalmente alla nobiltà, anche se durante il periodo Edo, il viola divenne di moda.
Tuttavia, al popolo era vietato indossare colori vivaci.
L’esterno del loro abbigliamento era spesso marrone, ma aggirando le regole, usavano fodere colorate.
In quegli anni, gli attori del teatro kabuki, dettavano la moda.
Storia e significato dei colori in Giappone: il bianco è detto shiro (白) in giapponese
Il bianco è considerato un colore associato al lutto.
Sin dai tempi antichi il bianco è un simbolo di purezza nella cultura giapponese.
Strettamente legato al mondo spirituale, anche oggi, i sacerdoti shintoisti e le loro aiutanti miko, indossano principalmente abiti bianchi.
I samurai indossavano abiti bianchi rituali quando commetteva seppuku (harakiri).
Solo dopo l’apertura del paese durante il periodo Meiji (1868-1912), grazie all’influenza occidentale, i giapponesi hanno iniziato a indossare abiti bianchi nella vita di tutti i giorni.
Così il colore associato al lutto è ora il nero.
Storia e significato dei colori in Giappone: il nero si chiama kuro (黒) in giapponese
L’uso più antico del colore nero nella cultura giapponese risale alla pratica dei tatuaggi giapponesi (irezumi).
Anticamente, i giapponesi si tatuavano. In particolare i pescatori, si facevano (e si fanno ancora) tatuare grandi uccelli o pesci per proteggersi dal male.
Dal periodo Nara in poi, i tatuaggi sarebbero stati usati per contrassegnare i criminali come punizione, e da allora i tatuaggi soffrono di una cattiva immagine, essendo usati principalmente dai membri della Yakuza.
Il nero era considerato l’opposto del colore viola e nel sistema di classificazione tradizionale a dodici livelli, il colore nero era riservato agli ultimi due ranghi inferiori.
Tuttavia, i samurai adoravano il colore nero laccato sulle loro armature, purché creasse riflessi.
Anche nel trucco, il nero è stato utilizzato sin dai tempi antichi.
Si dipingevano sopracciglia come in altre parti del mondo, ma solo in Giappone esisteva un’usanza chiamata o-haguro: ovvero tingere i denti di nero.
Fino alla fine del periodo Meiji (1868-1912), le donne giapponesi – ma anche gli uomini – si tingevano i denti di nero con ferro disciolto e aceto.
Si diceva che questa miscela avrebbe effettivamente prevenuto la carie.
Il nero è anche un colore fondamentale nell’arte giapponese.
Calligrafia, ma soprattutto il sumi-e: letteralmente “pittura a inchiostro”.
Qui il pittore utilizza solo le diverse sfumature di colore nero con inchiostro nero per realizzare bellissimi dipinti.
Storia e significato dei colori in Giappone: il colore indaco Ai (藍) blu del Giappone
Il blu del Giappone, detto indaco è chiamato Ai (藍) in giapponese.
Durante il periodo Meiji (1868-1912), quando gli stranieri entrarono in Giappone, furono colpiti dalla presenza del blu indaco presente ovunque nelle città giapponesi.
L’indaco si ricava da una tintura naturale composta da foglie fermentate della pianta indaco, mescolate con acqua.
Dal periodo Edo tutti i tipi di persone, gente comune e samurai, indossavano abiti tinti.
I vestiti color indaco erano alla moda, ma avevano anche altri vantaggi.
Infatti, la fibra diventa più resistente dopo la tintura indaco, funge da repellente per gli insetti e addirittura, ha effetto protettivo UV.
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